4 Luglio 2015

Srebrenica

Quest’anno ricorre il ventesimo anniversario del massacro di Srebrenica. Era 11 luglio del 1995 quando le unità dell’esercito della Republika Srpska (VRS) comandate dal generale Ratko Mladić entrarono nella enclave di Srebrenica, dal 1993 dichiarata zona protetta dalle Nazioni Unite e sotto controllo di una unità di peacekeeper olandesi.

Nell’eccidio che seguì morirono oltre 8000 uomini e bambini in quello che il Segretario Generale delle Nazioni Unite dichiarò essere stato il più grande crimine commesso in Europa dalla fine della seconda guerra Mondiale.

L’intellettuale bosniaca Azra Nuhefendić ha scritto sul giornale www.balcanicaucaso.org:

” Si avvicina l’11 luglio, l’anniversario del genocidio di Srebrenica, e su ambedue le sponde del fiume Drina cresce l’ansia. I serbo-bosniaci e la Serbia si impegnano a negare, minimizzare, spartirsi la colpa, contrattano sui numeri, si giustificano, insistono sulla propria versione dell’accaduto.

I musulmano-bosniaci sono in attesa di giustizia, di riconoscimento, di pietà umana. E, a distanza di vent’anni, molti stanno ancora aspettando i resti dei propri cari che sono spariti nel più grave crimine di guerra e contro l’umanità commesso in Europa dopo la Seconda guerra mondiale.

Dopo le guerre e le nefandezze restano i toponimi. Basta dire Auschwitz, Katyn, Guernica, o “gulag” per capire di che cosa si tratta.

La parola Srebrenica

Da vent’anni tra questi simboli c’è Srebrenica. La parola evoca immagini di famiglie distrutte, di persone caricate su autobus e camion con destinazione ignota, di terrore, di uomini bendati e condotti a morte, uccisi metodicamente ed esclusivamente sulla base della loro identità; e del lutto di circa trentamila donne bosniache: madri, mogli, figlie e sorelle, ognuna delle quali ha perso nel genocidio di Srebrenica numerosi familiari. I bosniaci uccisi sono stati più di ottomila.

Ma il dolore più grande della morte accertata è quello dell’incertezza sul destino delle persone che sono sparite. Molte donne di Srebrenica ancora oggi cercano i resti dei propri figli, padri, mariti, cugini. Una di loro, Hatidža Hren, in attesa di trovare le spoglie del marito Rudolf, grida disperatamente: “Portatemi le sue ossa, le riconoscerò di sicuro”.

Quello che è successo a Srebrenica non è oggetto di discussione. È stato accertato e definito un genocidio da due tribunali internazionali indipendenti: la Corte Internazionale di Giustizia e il Tribunale penale internazionale per i crimini di guerra nell’ex Jugoslavia (ICTY). Perciò, negarlo non cambierà i fatti.

Cinque ufficiali serbo-bosniaci sono stati condannati e ci sono ancora due processi in corso presso l’ICTY a carico dell’ex leader dei serbi bosniaci Radovan Karadžić e del generale serbo bosniaco Ratko Mladić, entrambi accusati per questo genocidio, oltre che per altri crimini.

Il massacro di Srebrenica è il crimine di guerra meglio documentato. Ci sono milioni di pagine di testimonianze, trascrizioni audio, video e prove forensi. Più di mille persone, di cui molte sopravvissute al genocidio, hanno testimoniato sui fatti di Srebrenica.

Un ventunenne ha raccontato, davanti al Tribunale dell’ICTY, che aveva solo sei anni quando fu portato davanti allo squadrone che fucilava i musulmani bosniaci. L’autista serbo che portava agli assassini il cibo e le bevande ebbe compassione di lui e lo salvò.

Le immagini autentiche che vediamo oggi sono le riprese televisive che, all’epoca, guardavamo quasi in diretta seduti nelle nostre case. Alcuni crimini sono stati documentati dagli assassini stessi, come quello dell’unità paramilitare serba “Scorpioni”: si riprendevano mentre uccidevano un gruppo di sedici bosniaci di Srebrenica. Per anni si poteva noleggiare la cassetta con il filmato nel video club della città serba di Ruma. E quando il giudice ha chiesto loro perché si fossero filmati, hanno risposto che l’avevano fatto perché credevano che, dopo la guerra, sarebbero stati considerati degli eroi.”

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